La Corte Costituzionale – con la sentenza n. 222/2018 depositata il 5 dicembre 2018 – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma, della c.d. Legge Fallimentare, il Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942, nella parte in cui disponeva l’automatismo applicativo della pena accessoria di 10 anni di inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale ovvero di incapacità, per la stessa durata, ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, così modificandolo: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni».
Tale pronuncia è intervenuta incidenter tantum – a seguito di ordinanza di rimessione della prima sezione penale della Corte di Cassazione – nel giudizio di legittimità per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Bologna che, in qualità di giudice del rinvio, aveva condannato alcuni protagonisti del c.d. Crack Parmalat, per aver commesso vari delitti di bancarotta di cui agli artt. 216 e 223 L.F.
In particolare, la portata innovativa della decisione della Corte delle leggi consiste nell’aver ribadito che, alla luce della funzione special-preventiva e dunque rieducativa della pena, il quadro edittale deve necessariamente essere informato al principio di proporzionalità costituzionale, di guisa che l’automatismo applicativo del trattamento accessorio risulta, in tal senso, irragionevole, necessitandosi un proporzionato sacrificio di interessi per il reo perché possa rieducarsi.