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La funzione scriminante dei M.O.G. nel nuovo Codice di giustizia sportiva: parallelismi con il d.lgs. 231/2001
Alla luce della recente riforma del Codice di giustizia sportiva è emerso un parallelismo di non poca rilevanza tra la c.d. responsabilità oggettiva delle società sportive per i comportamenti dei propri tesserati e la c.d. responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, che più che in ambito sportivo, introduce l’ente, nel cui interesse o vantaggio è stato commesso un reato, nel processo penale. In particolare, ciò che rileva è il tentativo di mitigazione dell’aprioristica riconduzione delle responsabilità in capo alla società datrice, per i fatti commessi esclusivamente dai propri dipendenti. Questa ragionevole chiave interpretativa del nuovo Codice di giustizia sportiva sembra chiaramente ispirarsi, come si dirà, alla disciplina ex d.lgs. 231/2001, soprattutto laddove un efficiente modello organizzativo abbia funzione “scriminante” in favore dell’ente.
La responsabilità per gli amministratori senza delega per difetto d’organizzazione
L’art. 2086 c.c., così come modificato dall’art. 375 del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, stabilisce la regola generale in base alla quale tutti gli imprenditori che operano in forma societaria o collettiva hanno il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, che sia anche funzionale alla rilevazione tempestiva di una eventuale crisi e della perdita della continuità aziendale, al fine di adottare ed attuare senza indugio gli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
L’attuale ordinamento giuridico impone agli amministratori – anche privi di deleghe -, un atteggiamento che risulti improntato a: trasparenza, informazione, iniziativa, intervento e attivazione. Con il fine di consentire un efficace funzionamento dell’organo amministrativo, quantitativamente e qualitativamente diretto alla realizzazione dei principi di corretta amministrazione ed efficiente gestione della società nel perseguimento dell’oggetto sociale.
Gli assetti organizzativi e amministrativi della società, nonché le procedure di allerta che l’organo amministrativo deve prevedere, in un quadro organico delle attività che gli amministratori sono chiamati a svolgere, hanno l’obiettivo di definire la figura attuale dell’amministratore senza deleghe, fungendo da riferimento per tutti coloro che operano nell’ambito dei meccanismi collegiali di governance societaria.
Il COVID-19: un’occasione per la riorganizzazione aziendale in termini di sicurezza
La sicurezza sul lavoro è una branca del giuslavorismo che ha interessato l’ordinamento nostrano già dall’epoca pre-repubblicana, basti pensare al fatto che l’art. 2087 c.c. (oggi parzialmente modificato) risale al codice civile del ’42 in pieno regime corporativista. Tuttavia è proprio dal secondo dopoguerra che si è tipizzato l’interesse collettivo in materia, infatti, le tutele ordinamentali traggono innanzitutto origine nell’art. 32 Cost., passando per i vari D.p.r. degli anni ’50, per la nascita dell’Assicurazione contro gli Infortuni sul lavoro e le Malattie Professionali, sino allo Statuto dei Lavoratori (1970) e al celebre D.lgs. 626/94 (poi abrogato). Infine, nel periodo recente si è manifestata la necessità di sistematizzazione della disciplina, concretizzatasi con il “tentativo” di codificazione rappresentato dal D.lgs. n. 81 del 9 Aprile del 2008, il c.d. Testo unico in materia di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro.
Cionondimeno, sebbene la cogenza delle norme, le oltre 1000 morti bianche del 2019 rappresentino non poche sintomaticità, la materia è vasta, l’applicazione lo è molto meno.
Il contatto materiale con le problematicità diffuse, a volte croniche, nelle aziende dà la possibilità di comprendere ciò che è necessario per una corretta compliance delle imprese alle misure di prevenzione. Invero, se già prima lavorare in sicurezza richiedeva elevati costi (non solo economici), a volte difficilmente sostenibili, nell’epoca dell’emergenza sanitaria questi costi aumentano in maniera inversamente proporzionale alla loro sostenibilità.
Accertamento induttivo e responsabilità penale: profili di incompatibilità
L’accertamento induttivo previsto dall’art. 32, c. 1, n. 2) del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 51, c. 2, n. 2) del D.P.R. n. 633/1972, basato su presunzioni e ammesso pacificamente dalla giurisprudenza tributaria, che ritiene le disposizioni de quibus legittime anche sotto il profilo costituzionale e in linea con gli indirizzi sovranazionali e internazionali, resta invece incompatibile con l’ordinamento penale generale, richiedendo quest’ultimo la sussistenza “aldilà di ogni ragionevole dubbio” degli elementi fondanti la responsabilità criminale.
L’assoluta insufficienza del metodo induttivo ad accertare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato tributario, in conformità con i parametri di certezza di cui all’articolo 533 c.p.p., rileverà all’esito di questo breve studio sia ove esso venga inteso quale regola di giudizio che come regola probatoria effettiva.
Brevi cenni sul doppio binario sanzionatorio nei Reati Finanziari: il divieto di bis in idem
Nell’ordinamento italiano il divieto del bis in idem è tipico del sistema accusatorio, inoltre, assume un significato metagiuridico, in quanto, nella sua pratica applicazione, sottrae il reo a ingiuste vessazioni in applicazione di ripetute imputazioni per uno stesso fatto. È dunque espressione di matura civiltà giuridica, pur non costituendo una novità per gli odierni ordinamenti giuridici.
Ciò che preme mettere in risalto in questa sede è la conflittualità che si crea nei casi in cui l’ordinamento reprima alcuni fenomeni illeciti con il c.d. sistema del “doppio binario” sanzionatorio, consistente nell’affiancamento della sanzione amministrativa a quella penale (o viceversa).
In occasione di litispendenza di giudizio di accertamento della responsabilità amministrativa, e di parallelo procedimento penale, è controversa l’operatività del divieto di bis in idem.
Prima facie il divieto infatti sembrerebbe trovare applicazione soltanto nei confronti di fatti punibili in base a norme appartenenti al medesimo “ordinamento” (penale, civile o amministrativo).
Bancarotta documentale: avvicendamento degli amministratori e responsabilità
La Quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito con una recentissima pronuncia (Cass. n. 15988 dell’11.03.2019 – dep. 11.04.2019) che la bancarotta fraudolenta documentale impropria rimane comunque reato proprio dell’amministratore, il quale non può, in ragione della qualifica ricoperta in un periodo precedente, rispondere anche della tenuta della contabilità in quello successivo alla dismissione della carica, a meno che non venga provato che egli abbia continuato ad ingerirsi di fatto nell’amministrazione della società ovvero, quale extraneus, sia in qualche modo concorso nelle condotte illecite di cui deve rispondere il nuovo amministratore.
“Spazzacorrotti”: il paradosso del mancato versamento dell’imposta di soggiorno punito come la Mafia
L’imposta di soggiorno veniva introdotta dall’art. 4 d.lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 recante “Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale”. Per ciò che concerne le modalità attuative del tributo, con particolare riguardo alle procedure di riscossione e versamento, detto decreto rinviava a un regolamento statale che doveva essere attuato nei 60 giorni successivi all’entrata in vigore del decreto. Tuttavia, il comma terzo art. 4 cit. riservava ai comuni la possibilità di adottare le misure di attuazione del decreto in caso di mancato intervento governativo nei termini sopra indicati. Infatti, proprio a seguito dell’inerzia del Governo, ogni Comune ha disciplinato autonomamente la materia dell’imposta di soggiorno, a discapito di un’omogeneità di regolamentazione tra le previsioni comunali. Inoltre, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 4 D.L. n. 50 del 24 aprile 2017, l’imposta di soggiorno non è più diretta in maniera esclusiva agli albergatori professionali, ma anche ai privati cittadini che diano in locazione, ancorché temporanea, i propri immobili adibiti (temporaneamente, lo si ripete) ad uso turistico.
I titoli di debito delle srl: finanza alternativa irrealizzabile per le micro-imprese
Sono passati già quindici anni dalla entrata in vigore della riforma del diritto societario, che con il D. Lgs. 6/2003, tra gli altri, ha riscritto ex novo l’art. 2483, c.c., rubricato “titoli di debito”, introducendo così lo strumento finanziario del quale le s.r.l. erano orfane, a differenza delle s.p.a. da sempre autorizzate ex lege ad emettere obbligazioni.
L’adozione volontaria dell’organo di controllo nelle s.r.l. impone la nomina di un revisore?
Il dubbio su cui ci si interroga – alla luce dell’apparente contrasto letterale tra la rubrica dell’art. 2477 c.c. e quanto ivi disposto – concerne la necessità o meno di nomina di un revisore nelle s.r.l., ove la nomina dell’organo di controllo avvenga su base volontaria e non sia imposta dalla legge (ex artt. 2477 co.1 e co. 4 e 2435bis c.c.).
Il ricorso abusivo al credito assorbe la truffa alla luce del principio di specialità
La Quinta Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36985 decisa il 24.06.2019 e depositata il 03.09.2019, ha riformato quanto disposto dalla Corte di Appello di Firenze. Il Collegio territoriale, in particolare, aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato per i delitti di concorso in ricorso abusivo al credito di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 218, vari delitti di bancarotta, e il concorso nelle truffe (art. 640 c.p.) ai danni di persone fisiche e istituti bancari. La Cassazione, invece, ragionando sulla struttura dei delitti di truffa e di ricorso abusivo al credito, alla luce del principio di specialità, ha stabilito che il delitto di truffa resta assorbito nella condotta di ricorso abusivo al credito, attesa la più ampia oggettività giuridica e la plurilesività di quest’ultimo. Segnatamente, l’imputato aveva ottenuto mediante la presentazione di false fatturazioni l’anticipazione dell’80% degli importi ivi indicati da parte dell’istituto di credito (Banca Monte dei Paschi di Siena) presso cui intratteneva un conto di anticipo di fatture.